martedì 9 dicembre 2014

Il comitato LAC sostiene, parte 2



Gabriele Del Grande, Khaled Solimani Al Nassiry, Tareq Al Jabr
Io sto con la sposa
300 euro (il prezzo per la proiezione pubblica del loro documentario, IVA compresa)

La colpa è degli immigrati. La delinquenza è colpa loro, perché sono ladri, stupratori, spacciatori, papponi. Poi ci rubano il lavoro, quei pochi che non rubano. Non hanno voglia di fare un cazzo, ma ci rubano il lavoro, così giusto per dar fastidio. Minano le nostre radici cristiane, qualsiasi cosa voglia dire questa frase fatta, ci islamizzano, anche se sono rumeni, quindi cristiani e comunitari. Hanno rovinato la nostra bella città, dove si stava così bene, così tranquilli. Mia mamma non mi apre nemmeno più il portone di casa sua se non guardo fisso nel videocitofono per 15 secondi, senza cappello e fresco di rasatura. E' colpa loro persino lo scandalo corruzione nella capitale, chissà perché, ma si è letto anche questo.
E poi c'è chi la pensa diversamente, che vede e capisce che dietro l'immigrazione ci sono questioni più complesse legate a guerre, regimi, eredità di un colonialismo che ha spogliato e derubato una Io sto con la sposa fa emergere in maniera prepotente questo aspetto: un barcone che affonda pochi chilometri al largo di Lampedusa causando 250 morti è una tragedia, ma serve uno sforzo ulteriore per capire che 250 persone che affogano così, non sono una tragedia, sono 250 tragedie. Anche i più attenti, i più informati, di fronte alla violenza di guerre e dei loro strascichi, di cui spesso l'Occidente nelle sue varie forme si fa complice, se non promotore, restano spesso sommersi e sopraffatti dalla dimensione del disastro, perdendo di fatto il lato più umano della questione. Ogni persona che fugge oggi dalla Siria, dalla Palestina, dall'Iraq o da un qualsiasi altro posto dominato dalla guerra, dalla violenza o dall'insensatezza porta con sé un storia e una rete di relazioni. Ogni persona che affoga in mare, porta con sé, sul fondo del Mediterraneo la sua di storia, i suoi affetti, le sue speranze, i suoi segreti. Gli inviati di guerra, in maniera più o meno onesta, ci raccontano l'insieme, danno una dimensione e una portata a ciò che accade in molti luoghi del Mondo e oggi più che mai in Medio Oriente. Poi però, qualche volta serve qualcuno che ci racconti le storie degli uomini, le loro piccole storie. Qualcuno che ridia una dimensione umana alla questione, senza giudizi, lasciando raccontare, per evitare che il tutto si riduca a una conta di annegati. Io sto con la sposa fa questo.
parte del mondo. La questione dell'immigrazione è qualcosa di enorme, con radici profonde e una chioma ramificata, ma è fatta di piccole storie di uomini normali. Serve a volte un grande sforzo per riuscire a recuperare la dimensione umana della questione. Così le guerre restano guerre e non uomini che si uccidono e gli immigrati restano una categoria umana indistinta e non uomini e donne reali.
In stazione Centrale a Milano due persone camminano svelte, si sono date appuntamento per un caffè e due chiacchiere. Uno è italiano, ma tra loro parlano in arabo. Sentendo la lingua un ragazzo sbarcato pochi giorni prima da un barcone si avvicina e chiede loro da che binario parta il treno per la Svezia. I due si guardano straniti e invitano lo straniero ad unirsi a loro per quel caffè. Questo è il via a Io sto con la sposa, non al film, alla storia che porterà al film. Più informazioni le trovate qua:


Il documentario ci racconta la storia, brevi frammenti di storia, di alcune persone, cinque per Io sto con la sposa ci riescono molto bene, forse perché per raccontarla si sono messi loro stessi in gioco. Hanno dovuto disobbedire, opporsi a leggi ingiuste e rischiare in prima persona. Hanno condiviso il pericolo e l'insicurezza dei fuggiaschi. L'umanità ha prevalso sulla legalità.
l'esattezza. Sono arrivati in Italia, ma vogliono andare in Svezia e trovano qualcuno disposto ad aiutarli. Così c'è il viaggio, con ciò che ci si porta appresso e ciò che si è lasciato indietro, una narrazione di parole e di silenzi. Raccontare una storia non è facile, bisogna evitare patetismo, preconcetti, la retorica del sentimento. I ragazzi di
Per questo il LAC sostiene Io sto con la sposa e i suoi narratori e nel nostro piccolo cerchiamo di diffondere la loro storia e la loro esperienza, di vera autentica Resistenza, politica, morale ed umana.
Uno dei cinque è Manar, anzi, Mc Manar, 12 anni, dalla Palestina:


Il 16 dicembre lo proiettiamo al Theater im Hof.

cb


mercoledì 3 dicembre 2014

Il LAC sostiene

(premessina)
raccogliamo i soldi per le nostre attività alla festa della Liberazione, il 25 aprile di ogni anno (quest'anno sarà il quarto). Non chiediamo, né vogliamo fondi pubblici, di nessun tipo. Senza stare a discutere se sia giusto o meno che l'amministrazione finanzi eventi culturali o pseudo tali, noi non vogliamo soldi pubblici perché vogliamo essere liberi da condizionamenti esterni. 
Cosa facciamo coi soldi che ci date alla festa? Finanziamo/finanziate eventi, situazioni, gruppi che ci ricordano il senso della Liberazione, della Resistenza e dell'Antifascismo. Ve lo avevamo detto che la nostra festa era una festa per antifascisti, se non ve lo ricordavate, segnatevelo.


Il comitato LAC sostiene, parte 1
Kobane
200 euro (lo avevamo detto nella premessa che le nostre sono briciole...)

La prima volta che l'opinione pubblica italiana si è incontrata coi curdi e col Kurdistan è stato nel 1998, quando Ocalan, leader del PKK, sbarcò a Roma per la gioia di D'Alema e del suo governo. Si sa che il PD, o come diavolo si chiamava nel 1998, dà il meglio di sé quando si tratta di prendere una posizione decisa e ferma. E' lì che si ride, se non si è un curdo con una condanna a morte sulla testa, nel qual caso si ride poco.


Nel febbraio del 1999 assieme ad un compagno andai a una manifestazione di sostegno ai curdi e a Ocalan e per far pressione sull'opinione pubblica europea perchè intervenisse in favore di Ocalan, che aveva già abbandonato, più o meno volontariamente, l'Italia, dopo che gli era stato negato l'asilo politico che contava di ottenere. Avevo già capito che una passeggiata per le vie di Roma non serviva a raddrizzare le storture del mondo, ma vivevo ancora come un senso di colpa non esserci quando qualcuno o qualcosa mi chiedeva di essere lì.
Il ricordo più vivido di quella giornata fu il momento in cui scendemmo dal pullman. Una variegata compagine della sinistra bolzanina scese dal pullman e si diresse a passo sicuro verso un bar. Cappuccino e cornetto. I compagni curdi mischiati a noi sgranarono gli occhi:- Ma dove cazzo state andando?- avevano le facce dure, non incazzate, né pericolose, indurite, come le mani, manazze usate come attrezzi da lavoro. Io studentello imberbe, ma neanche poi tanto, fuoricorso per vocazione, mi son fermato.
-I proletari non fanno colazione al bar. Punto. Ecco questo è il ricordo della giornata. Qualcosa di certo ho imparato, magari svilupperò altrove questa riflessione.
Che ne è stato di Ocalan, essendo il suo futuro nelle mani di D'Alema, si può facilmente immaginare, semmai cercate in internet. Così come potete cercare un po' di notizie sui curdi e sul Kurdistan, un popolo osteggiato da tutti e uno stato che non esiste pur esistendo. Decenni di lotta e di Resistenza, nel silenzio della storia e dei media, fino a che si sono trovati davanti ai nuovi Supercattivi dell'ISIS, gente che fa sembrare Osama Bin Laden al pari di Gargamella. Allora i curdi sono stati la carta giusta da giocare. Non più ribelli rivoltosi da perseguitare e incarcerare, ma alleati da armare e sostenere.

Per un chiarimento tra Peshmerga, PKK, ruoli, alleanze e ideali politici rimando all'analisi di Wu-ming, come al solito chiaro, documentato, rigoroso e libero; mi pare una lettura molto interessante:


E' un articolo pubblicato alla fine di agosto, ma l'analisi resta valida nelle sue linee generali e può essere utile per capire qualcosa sulle forze in gioco nell'assedio di Kobane, dove tra l'altro, con il sostegno di Ankara, sono arrivati molti volontari curdi legati al PKK. Certo Erdogan avrà fatto bene i suoi calcoli, tant'è.
In una zona come quella, accerchiata da un fanatismo misogino e troglodita agisce una Resistenza laica, socialista, femminista e legata a questioni ambientali, espressione (una, non certo l'unica) di un popolo oppresso e perseguitato. Parte dei nostri fondi vanno a loro. Sarebbe bello pensare che potessero comprarci quaderni e colori per una scuola, ma non siamo ingenui e non viviamo nel mondo colorato dei minipony. Sosteniamo Kobane e aspettiamo, qualcuno ci porterà notizie, tra gli altri questo ragazzo qui:


Ecco, così iniziamo a spiegare dove vanno i nostri/vostri soldi, raccolti in un momento di festa.

P.S.: tanto per dire: Ocalan si espulse dall'Italia il 16 gennaio 1999. Il 15 febbraio fu catturato a Nairobi dai servizi segreti turchi e nell'aprile del 1999 fu condannato a morte. Nell'ottobre del 1999 il Tribunale di Roma gli concede l'asilo politico. La condanna a morte non è stata eseguita (la Turchia vuol pur entrare nell'Unione Europea...) e Ocalan resta ad oggi prigioniero nel carcere di massima sicurezza sull'isola di Imrali.

cb